La chiesa di Santa Maria dei Servi, in via Roma, fu teatro di un paio di avvenimenti davvero incredibili. Proprio qui sin dal Quattrocento è esposto un crocifisso di circa due metri d'altezza su cui aleggia un grande punto di domanda: chi ne è l'artefice? In questi casi non c'è test di paternità che tenga. Ma come avranno fatto mai i padovani a dimenticarsi chi fu l'artista che realizzò quest'opera? Probabilmente si tratta di uno sconosciuto, magari anche alle prime armi, direte voi. No no, dico io. Complice di questa amnesia fu un fatto sconcertante, che pose il particolare della paternità in secondo piano. Il 5 febbraio 1512, davanti a un gruppo di fedeli in preghiera, il volto e il costato di Cristo iniziarono a stillare "sudore sanguigno" senza interruzione per ben quindici giorni. Il fatto si ripeté di nuovo il venerdì Santo, e questa volta il vescovo Paolo Zabarella si precipitò sul luogo, riuscendo addirittura a raccogliere in un'ampolla alcune gocce di sangue. Ma tutto è bene quel che finisce bene. Infatti, alla vigilia del quinto centenario del miracolo, l'orfano crocifisso ritrovò il padre. Gli autori della scoperta furono due studiosi nostrani: lo storico dell'arte Marco Ruffini e Francesco Caglioti, professore di Storia dell'arte presso l'università Federico II di Napoli. Tutto ebbe inizio nel 2006 in America e fu una vicénda degna dei romanzi di Dan Brown: il Ruffini si trovava nella biblioteca della Yale University, intento a studiare un raro esemplare della prima edizione delle Tlzte del Vasari. Qui, fra un caffè americano e uno sbadiglio, notò un'antica annotazione proprio a fianco alla descrizione delle opere di Donatello a Padova, che recitava: "Ha ancor fato il Crocifixo quale hora è in chiesa di Servi di Padoa". Ruffini, incuriosito, chiese subito conferma agli esperti italiani dell'artista, e il professor Caglioti si illuminò: a lui non risultava, ma l'opera aveva effettivamente tutta l'aria di essere del maestro. In men che non si dica il Caglioti è ai piedi del crocifisso a studiarne le linee, e non gli ci vuole molto a riconoscere la somiglianza fra questo e quello bronzeo posto sull 'altare del Santo. Ecco così sistemato l'ultimo tassello del puzzle: merito della ricerca e della buona calligrafia dello sconosciuto che amava prendere appunti. Ma il Donatello in città doveva davvero aver trovato l'ispirazione, perché potremmo essere in possesso anche di un altro suo figlio illegittimo: il gigantesco cavallo ligneo che si può ammirare all'interno del Salone. Questo cavallo risale a unfeston in maschera del 1466 ed è proprio lo storico Vasari nella sua Tlzta di Donatello a scrivere che fu Annibale Capodilista a ordinare al fiorentino la costruzione di quest'opera. Questa teoria non è certa, anche perché sembrerebbe che l'artista si fosse allontanato da Padova già nel 1453. A ogni modo, il cavallo di legno, privo di testa e senza coda, rimase per quasi quattro secoli nel Palazzo Capodilista, finché la famiglia non decise di regalarlo al Comune di Padova. Le parti mancanti vennero però effettivamente copiate da quelle del Gattamelata, opera questa di Donatello. Di certo il cavallo fece il suo figurone in questo cameva'
le di Rio quattrocentesco, il cui tema era la mitologia: nel lungo corteo che andava da piazza dei Signori a Prato della Valle la testa del gigante Giove che cavalcava questa colossale
opera lignea superava addirittura le mura della città. Il colosso, che procedeva trainato da cinquanta paia di buoi, era seguito da una lunga fila di divinità pagane, di mostri e di eroi. L'unica prova rimasta di questa festa è proprio il cavallo, mentre il gigantesco cavaliere è andato disperso. Forse quando i fumi dell'alcol lo abbandoneranno, un giorno
verrà a reclamarlo. |
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tratto da "Misteri e storie insolite di Padova" -Newton Comption editori |